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Una storia un po’ boomer e “quasi” vera: Mario che voleva prendere il treno!

E’ risaputo che i treni a Biella siano una piaga, tra ritardi, disservizi e qualità dei mezzi sembra che la città sia ferma agli anni ‘50. Non passa giorno che non accada qualcosa e ormai è un’impresa completare alcune tratte senza incappare in un ritardo che faccia inevitabilmente perdere la coincidenza.

Di seguito una breve storia, tanto finta quanto vicina alla realtà che molti vivono giorno dopo giorno, ormai da anni. Questa è la storia di Mario che voleva andare a Milano in treno, da Biella.

Tutto ebbe inizio un lunedì mattina quando Mario, pensionato disabile di Camandona, decise di buon ora di recarsi a Biella per andare a trovare il figlio a Milano. Erano anni che Mario non scendeva in città, la sua invalidità non gli permetteva di muoversi agilmente e temeva sempre di non di non trovare parcheggio, la città era molto cambiata negli anni. Beppe, un suo amico di Briscola del bar Sport del paese, gli aveva detto che Biella, sì era cambiata, ma i posti riservati ai disabili erano molti e questo l’aveva rincuorato e convinto a muoversi.

Così Mario di buon mattino decise partire all’ avventura, sfrizionando allegramente attraversò le colline, arrivò in centro, tra rotonde francesi affrontate con disgusto e noncuranza (lui odiava i francesi) e precedenze date all’ultimo secondo, arrivò in Stazione San Paolo, pronto a prendere il treno ma prima, bisognava parcheggiare.

La sua Panda era munita di regolare tagliando per disabili e questo gli avrebbe permesso di sostare comodamente vicino alla stazione. Con grossa sorpresa, al suo arrivo, i parcheggi riservati, adiacenti l’ingresso, era tutti occupati, Mario restò molto sorpreso del fatto che disabili come lui possedessero auto così lussuose, tra fuori strada e berline tedesche e Suv di ogni tipo.

Con un pizzico di invidia cercò parcheggio altrove, lo trovò in fondo al piazzale e questo lo costrinse a una lunga zoppicante camminata fino alla biglietteria della Stazione.

Si presentò allo sportello, tolse il cappello (come si usava ai suoi tempi) e cordialmente chiese un biglietto Andata Ritorno per Milano. Il bigliettaio con aria disinteressata e un po’ annoiata disse: “tratta Biella-Santhià-Milano? Biella-Novara-Milano? Biella-Vercelli-Milano? Andata e Ritorno? Supplemento? Prima classe? Seconda classe? E il ritorno? Milano-Santhià-Biella? Milano-Novara-Biella? Milano-Vercelli-Biella? Navetta-Pullman-per-Novara? Prima classe? Seconda? Supplemento? Forza signore non abbiamo tutto il giorno”.

Mario era frastornato, lui voleva solo andare a Milano, restò un attimo perplesso (a quell’età è difficile ragionare in fretta) il bigliettaio spazientito lo esortò a muoversi, stava bloccando la fila, Mario si voltò e dietro di lui non c’era nessuno. Con voce ferma e decisa disse: “Biella-Santhià-Milano andata e ritorno” e il bigliettaio: “Spiacente è già partito”

Mario prese lo stesso il biglietto, lui doveva e voleva andare a Milano, si incamminò verso il binario indicato, si sedette sulla panchina e aspettò, aspettò, aspettò e mentre la gente aumentava cominciava a perdere le speranze, tra pendolari spazientiti e studenti di tutte le età, giovani con pettinature stravaganti, chini sui loro telefoni alla moda e agghindati con strani abiti. Mario li fissò al lungo poi alzò gli occhi al cielo, il sole splendeva, erano giorni che non pioveva eppure, quei ragazzi avevano l’orlo dei pantaloni rivoltato in su, sorrise, non vedeva quel modo di vestire dall’alluvione del ’93 quando aiutò a ripulire dal fango la cantina della parrocchia.

Finalmente il treno arrivò, Mario a fatica riuscì a salire, nessuno si prodigò ad aiutarlo ma si sa, la gente ha sempre fretta. Una volta a bordo cercò subito un posto comodo, il primo sedile era occupato, il secondo era sporco di non si sa bene cosa, la terza fila era una sorta di dormitorio, gente strana, magrebini (come li chiamava lui) senza scarpe e con i piedi sui sedili, Mario passò oltre, finalmente un posto libero, prima di sedersi cercò di chiudere il finestrino, niente, non voleva saperne, si abbottonò il cappotto e si mise comodo.

Il treno procedeva lentamente, facendo sosta in paesini di cui ricordava appena il nome, nessuno scendeva, nessuno saliva e il tempo passava. Finalmente una voce annunciò la stazione di Santhià, Mario, con uno sforzo scese di fretta, sicuro di salire immediatamente sulla coincidenza per Milano, niente, il treno era in ritardo e la coincidenza era già partita. Mario si sentì proprio sfortunato, i suoi amici del paese gli avevano detto che il mondo era cambiato, si era evoluto, la tecnologia, i treni super-veloci e Mario attributi quel disguido a un colpo di sfortuna.

Finalmente arrivò il diretto per Milano e magicamente la banchina della stazione si popolò, dal bar, dal sottopasso, dalla sala d’attesa una folla esasperata si accalcava per salire, spingendo e imprecando.

Mario con fatica riuscì a salire, questa volta aiutato da un giovane e una volta su, si accorse che i posti a sedere erano tutti occupati. Nessuno si alzava, nessuno che faceva un gesto verso un anziano, nessuno lo notava, tutti immersi tra cuffiette, musica a tutto volume e teste chine sui telefoni, nessuno notava quel vecchio zoppicante in piedi.

Dopo qualche minuto di ricerca finalmente Mario trovò un posto..e che posto, sedili puliti, nessuno a disturbare, finestrini chiusi, ci vollero però pochi attimi perché il controllare, obliterando il suo biglietto gli disse “signore questa è la 1° classe, ci va il supplemento”, Mario ormai esausto, pagò la differenza, non si sarebbe mai alzato da lì.

Finalmente arrivò a Milano, il figlio lo attendeva al binario, Mario lo salutò, passarono la giornata assieme e verso sera fu riaccompagnato alla stazione. Salutato il suo ragazzo, si avviò verso i binari, guardò attentamente il tabellone, una scritta vicina al numero del suo treno indicava “ritardo”, guardò la banchina, una folla impaziente aspettava, rivide i ragazzi con i pantaloni da alluvionati ma non erano gli stessi, rivide i magrebini scalzi, ma non erano gli stessi, si fermò un attimo a riflettere, si incamminò fuori dalla stazione e con voce ferma e decisa fece l’unica cosa logica, controllò di aver con se la pensione incassata il giorno prima in posta, alzo il braccio e gridò: “TAXIIIII”

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